1968 L'ANNO CHE INCENDIO' IL MONDO - i fontanari torremaggioresi

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1968 L'ANNO CHE INCENDIO' IL MONDO



Sul '68 si è scritto molto e quasi tutto è stato attraversato da violenti accuse o patetiche nostalgie.

Ho deciso di aprire questa pagina per affrontare la sua Storia attraverso molteplici fonti documentali non per una forma di nostalgia (in quell'anno avevo 14 anni) ma per volontà di parlare di un periodo storico, unito a quello degli anni '70 già presente nel sito: 70 GLI ANNI IN CUI IL FUTURO INCOMINCIO', così importante ancora oggi per il nostro Paese.

Il primo materiale inserito sono i 12 fascicoli editi dal Manifesto:1968, il libro di Renzo Del Carria:Proletari senza Rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane dal 1950 al 1975" che tratta del periodo storico da me scelto e l'opuscolo:IL 68 DELLE DONNE.

Successivamente, se troverò altro materiale, lo pubblicherò.

Il curatore del sito Fulvio De cesare                                            settembre 2023









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INTRODUZIONE AI FASCICOLI DEL MANIFESTO.

Esattamente 20 anni dopo quella data il Manifesto ha dato alle stampe 12 fascicoli:1968 mese, essi sono stati un tuffo in anni ritrovati, ricomposti, ricordati con tutto il materiale possibile in un turbato rapporto con la memoria.
  Il '68 rappresentò un punto limite del conflitto nel "caso " italiano poichè sia l'anima studentesca sia quella operaia mutarono e da allora TUTTO E' CAMBIATO:

"...La scuola prima franò per quasi un decennio, senza tentativi di interventi riformatori come in Francia, poi si ricompose in atonia e selettività e avrebbe cercato altrove le sue " modernizzazioni", quando pur le trovava.
  Certo nè il "movimento dell'85" nè i Cobas portarono la traccia delle ragioni, pur difficilmente contestabili, che erano state alle origini del movimento del '68; neppure un ricordo.
   Quanto al nuovo movimento operaio, dopo la vera e propria epifania del 69-72 si sarebbe avuta prima una crescita e poi la sua distruzione fisica, nella mutazione tecnologica e dei luoghi, primo la grande fabbrica e del tempo di lavoro, almeno di quello che pareva il "vero" lavoro, quello dell'industria.
  Come talvolta avviene nei veri conflitti, il 68 fu la punta estrema d'un rivoluzionarismo che a vent'anni si trova di fronte la punta estrema della negazione d'ogni possibilità di cambiamento. Tutti i dati, infatti, sono mutati, ma l'ordine dei fattori non prefigura più le passate operazioni.
  La massa, acculturata come mai in passato, non si domanda più quale spazio resti al giovane intellettuale, in uno scenario nel quale sapere non implica ormai nè uno status nè un ruolo sociale particolare e neppure corrisponde ragionevolmente all'input di conoscenze richiesto dalle nuove mansioni.  Si sa per svolgere una professione, si sa per consumare cultura, ma la ricerca sul senso sembra riconsegnata ai filosofi e pochi sono i filosofi.     Al momento in cui tutti sanno leggere e scrivere e più nulla parrebbe precluso della sacralità della cultura, questa si deprezza e il consumo dell'immagine è venuto a distrarre potentemente dalla presunzione di sapere per spiegare e spiegare per cambiare.
  I giovani si adattano alla miseria di una cultura che non è nè una merce preziosa nè una leva per spostare qualcosa, al di fuori di modesti destini personali.  Lo spazio sempre più vasto di emarginazione, che designa quei giovani che non sanno che fare al mondo e dei quali l'ordine produttivo non sa che farne, non sembra indurre a movimenti, che presumono un diritto negato, ma al ripiegamento, all'accettazione della propria inutilità, alla fuga e alla droga, quando non alla violenza.

  Non è lo stesso per il secondo protagonista del '68, l'operaio semiacculturato e partecipe della forte soggettività modificatrice che suggeriva dalle università un radicalismo cui per vie proprie stava arrivando negli ultimi anni.  Questo radicalismo, diversamente dagli studenti, non era recuperabile neanche in parte modesta, e vere e proprie battaglie perdute, unite al mutamento dei luoghi della produzione, hanno disperso una notevole parte dell'esercito operaio, restituendo gli uomini fuori dalla fabbrica a precarie condizioni semiurbane-semiagricolo, mentre i grandi capannoni degli anni Venti e Trenta delineano ancora per poco tempo un paesaggio di archeologia industriale.

Lo scenario politico della sinistra è uscito da quei brevi anni sconvolto..."
(da "L'anno rifiutato. Un bilancio provvisorio dopo la fatica di ricordare" di Rossana Rossanda)

Le cose scritte da Rossanda nel 1988  sono diventate una triste realtà nel 2023.





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